Sono le 6,15 di Sabato 13 aprile 2013.
Il profumo del caffè invade il piccolo e accogliente Wolksvagen di Tommaso nel quale abbiamo passato una comoda e silenziosa notte quando…… fastidiosi roboanti motori, associati ad invadenti fasci di luce, ci sorprendono nel ns non ancora completo stato di veglia…frantumando il senso di pace e silenzio che fino ad allora ci aveva fatto piacevole compagnia….
“Chi osa disturbare il sonno dei giusti?”.
Lo stridore di freni ricorda classici action americani … ma, anziché brutti ceffi armati e bellicosi, dalle auto escono atletici bipedi più o meno Monturati i cui volti ci ricordano noti soggetti del GSA-Uget: sono i nostri compagnucci di avventura con cui divideremo quattro indimenticabili giorni per percorrere la parte terminale della Chamonix-Zermatt, nota “haute-route” di scialpinismo, che si svolge tra Francia e Svizzera.
Per cause meteo/logistiche percorreremo solo le ultime due tappe iniziando da Prarayer che, come noto, si trova in Valpelline.
Noi però siamo in Valtournenche e non si tratta di confusione mentale!
L’ultimo progetto, seguìto a non so più quante precedenti releases, prevedeva la salita allo Chateau des Dames con discesa sul versante valpellinense ma… l’ispezione visiva di venerdì sera ci ha indotti a migrare sul più domestico Dome di Cian.
Sempre traversata sarà anche se sembra piuttosto lunga ed anche i dislivelli non sembrano proprio uno scherzo.
Sabato 13 aprile
Consumato rapidamente il disturbato breakfast ri-organizziamo gli equipaggi lasciando due auto al bivio per Torgnon e salendo tutti alla frazione Chatelard con altre tre vetture.
Siamo in dodici ed altri quattro li raccatteremo along the road, più precisamente questa sera a Prarayer.
Il cielo è azzurrissimo, non fa né caldo, né freddo e cominciamo salendo per i prati sopra Torgnon fino ad intercettare la neve dopo pochi minuti.
In breve ci troviamo su una pista di fondo nonché sentiero 105 intorno a quota 1900 e la seguiamo preoccupati perché “non stiamo facendo quota”; il tempo passa, i chilometri aumentano e, fatto il punto con i nostri precisissimi gipiessari d.o.c., ad un certo punto, nei pressi di Loditor, svoltiamo a sinistra dove prendiamo quota nel Vallone di Chavacour sotto un sole che si rivela, coerentemente con le previsioni meteo, ben più caldo di quello che dovrebbe essere.
Arriviamo così al Bivacco di Cian (o Tsa che significa campo), una datata ma efficiente struttura in legno e lamiera dotata di stufa a legna di proprietà dello Sci-club Torgnon collocata a 2482 metri in un delizioso sito; intuibile il piccolo lago nei pressi, ora completamente coperto di neve.
Ci concediamo una corroborante pausa di una mezz’oretta e lasciate le dovute memorie sul libro del bivacco, ripartiamo salendo al Col Chavacour posto a quota 2957m dove ci ricompattiamo per abbandonare i nostri pesanti zaini al fine di salire in punta al Dome di Tsan o Cian 3322m senza pesi.
La stanchezza comincia a farsi sentire e la bellezza dei luoghi attraversati non giustifica sforzi inutili eccessivi; così poseremo i piedi sulla vera vetta soltanto in tre anche se chi si ferma prima lo fa solo a mezz’ora dalla panoramica vetta preferendo (saggiamente) risparmiare energie per la lunga discesa.
Recuperato il materiale, le prime centinaia di metri scorrono veloci, divertenti e sicure.
Un po’ più in basso invece la temperatura, decisamente oltre la media stagionale, ci riserva alcune sorprese: alcune aree sono trappole per topi costituite da centinaia di chili di neve molle che sprofonda aprendosi sotto i piedi, anzi gli sci, dell’incauto soggetto…
Il primo a caderci, come una pera, è il sottoscritto che, alla ricerca di pendii vergini, individua un’area intonsa.
La trappola scatta e l’uscita/ri-emersione è davvero complicata oltre che faticosissima.
C’è anche forte pericolo che tutto il pendio parta cosicché una banale “rimessa in pista” ci costa almeno una diecina di minuti…
Dopo essermi promesso di non abbandonare più la tracciatissima pista entriamo così a quota boschiva e, soccorrendoci reciprocamente in caso di infausta caduta nella neve ormai infida e traditrice, raggiungiamo il fondo valle dove a pochi diecine di metri si trova l’accoglientissimo rifugio-albergo Prarayer.
Il Rifugio, a quota 2005, è strapieno ma ugualmente efficiente ed accogliente; ci permettiamo persino una caldissima doccia nei comodi e numerosi bagni prima della cena.
Intanto arrivano altri due nostri compagni di viaggio: Cecilia e Matteo, reduci purtroppo da una brutta esperienza: una valanga, una delle tante che con queste insolite temperature cadono, li ha coinvolti, senza conseguenze tragiche per fortuna, ma sufficiente e comprensibilmente, ad incutere in loro una certa apprensione per la continuazione del RAID.
Oltre a loro sono presenti anche Ermes e Franco che invece, senza particolari problemi, hanno raggiunto Prarayer nel pomeriggio.
Siamo così saliti a sedici e domani, domenica 14 aprile, saliremo al rifugio Nacamuli 2818m e poi forse, dopo avere raggiunto i colli Collon 3114m ed Eveque 3390m, la punta dell’Eveque 3716m, condizioni fisiche permettendo.
Domenica 14 aprile
Cecilia e Matteo, dopo l’esperienza di ieri, decidono di tornare indietro per cui al mattino di domenica 14 ci ritroviamo solo più in quattordici.
Procediamo piuttosto spediti nell’ancora ombrosa Comba d’Oren ed un muretto gelato scompone il gruppo rendendo necessario l’utilizzo dei rampant mentre qualcuno, nutrendo poca fiducia nel proprio armamentario, ricorre addirittura ai ramponi.
Passato il mauvais-pas ci ricompattiamo nei pressi del col Collon, entrando in territorio elvetico.
Saliti ai quasi 3400 metri del colle dell’Eveque penso che la salita alla punta dell’Eveque sia troppo impegnativa per essere affrontata al pomeriggio, sia dal punto di vista fisico che, vorrei dire soprattutto, psicologico.
E fors’anche pericolosa.
Propongo, in sostituzione, la salita alla domestica Pigne d’Arolla che con i suoi 3796 metri rappresenta la massima elevazione della “normale” Chamonix-Zermatt, lunga ma facile e sicura.
Ma solo in quattro saliremo alla Pigne beandoci della visione della Chamonix-Zermatt versante ovest: qui infatti si manifesta in modo inequivocabile l’arrivo dei tre grandi ghiacciai di Cheilon e Serpentine che si fondono nel Glacier Tsena Refien (che si percorre pernottando alla Cabane de Dix, altro sito referenziale al pari della Cabane des Vignettes), del Breney (forse il più “trafficato” che prevede la salita dalla Cabane de Chanrion) e l’enorme ghiacciaio di Otemma che per la sua ampiezza e facilità è quello seguito in caso di avverse condizioni meteo.
Il Mont Blanc de Cheilon è a due passi da noi e la visuale su Cervino, Dent Blanche, Dent d’Hérens incomparabile.
L’Eveque è all’opposto della nostra direzione di salita e delimita a sud-est l’immenso ghiacciaio del Mont Collon.
Il resto del gruppo sale invece alle Becche d’Oren, poco distanti dal Colle dell’Eveque, e si regala così una bella discesa fino al pianoro sotto la cabane des vignettes, ripellando per risalire i 100 metri necessari a raggiungere la struttura.
Il tempo continua a mantenersi magnifico e, nonostante la quota elevata, le temperature sono sempre molto alte.
La sistemazione al Rifugio è dignitosa: monsieur Jean-Michel Bournissen è una guida alpina, che data la stazza forse si cimenta raramente su vie di VII superiore, però simpatico, prodigo di utili suggerimenti e, per la media elvetica, questo è già molto.
È lui che ci consiglia la discesa al Glacier d’Arolla per il ripido e talvolta stretto canale posto subito sotto il Rifugio in sostituzione al classico tour del Mont Collon che prevede la risalita al colle dell’Eveque.
Lunedì 15 aprile
Così, dopo la rituale colazione, oggi alle 5,30 attendiamo che la luce sia sufficiente e con qualche difficoltà scendiamo al ghiacciaio del Mont Collon percorrendo un traverso gelato.
Le lamine tengono “abbastanza” ma Franco perde uno sci in questo punto delicato, sci che si inabissa nel canale che scenderemo tra qualche ora, dopo avere tentato l’Eveque.
Cosa fare?
Cercare lo sci sarebbe privo di senso: la neve è gelata, la pendenza da discreta diventa poi elevata per cui può essere già arrivato ad Arolla….
La soluzione più razionale, in realtà l’unica sensata, è quella di guadagnare il Rifugio Nacamuli e scendere a Prarayer rientrando dalla Valpelline.
Ermes, che faceva equipaggio con Franco, si presta ad accompagnarlo ponendo così la scritta “fine” alla sua “Chamonix-Zermatt”.
Restiamo così in soli dodici agguerriti e determinati skialpers facendo rotta verso l’imbocco della salita all’Eveque. Arriviamo quasi tutti al colle superiore dove si abbandonano gli sci dopo avere zig-zagato gli ultimi cento metri tra placche di ghiaccio vivo e zone nevose.
Enrico, come suo solito, parte lancia in resta e ci lascia una utilissima corda per superare un delicato passaggio.
Da lì, giunti sulla esilissima cresta di misto che unisce la due vette, proseguiamo verso quella di sinistra, la più alta, a 3716 metri.
Ci sono delle fettucce di cui approfittiamo piazzando una seconda corda che agevolerà non poco coloro che non hanno familiarità con questo tipo di progressione dove, va da sé, è tassativamente vietato scivolare o perdere un appiglio.
Del resto la quotazione OSA è qui attribuita in modo indiscutibile!
Quasi tutto il gruppo è in vetta in una giornata di quelle da manuale: visibilità infinita, zero vento, temperatura piacevole.
Ci tratteniamo così non poco sulla minuscola cima, osservando tutto lo spettacolare panorama.
Un plauso al GSA che, con una così nutrita fitta di persone su target di così alto livello, dimostra una qualità media di indiscutibile caratura!
La discesa del tratto alpinistico, sebbene si limiti ad una cinquantina di metri, ci impegna non meno della salita, anche se utilizziamo una delle due corde per piazzare una veloce doppia e tornare alla base dove abbiamo lasciato gli sci.
Discesone da urlo che finisce al punto in cui avevamo “scaricato” gli zaini, portandoci solo dietro acqua, due barrette, un ricambio e l’indispensabile equipaggiamento alpinistico.
Con gli zaini così ri-appesantiti, ripartiamo per infilarci nell’inizialmente ampio pendio posto a sud della Cabane des Vignettes (Glacier du Vuibe).
Guardiamo se vediamo lo sci di Franco ma non ne scorgiamo traccia sul compatto ghiacciaio.
Quando poi pendenza ed ampiezza esigono ben altro livello di attenzione ci concentriamo sulla discesa che con i suoi 30-35 gradi sembrava difficile ma poi, complice l’ottima neve, un innevamento perfetto, e nonostante la severità dell’ambiente, si rivela abbordabile a tutti senza problemi.
Giungiamo così ai 2300 metri di quota quindi ben più bassi dei Plans de Bertol da cui ci si infila nel vallone che conduce ai 3311 metri della Cabane de Bertol, vero e proprio nido d’Aquila, ancora più abbarbicato alla roccia che non la mitica e gigantesca ben nota Capanna Margherita sulla punta Ghifetti del Rosa.
Il morale è a terra: chi più, chi meno, siamo tutti stanchi e ci attendono mille metri di dislivello con temperatura elevata, zaini pesantissimi, stanchezza nelle gambe…
Si parte piano-piano, mogi, ricompattandoci in un paio di occasioni.
Ognuno marcia secondo “quanto ne ha” e si ferma quando ne ha bisogno.
In tre ore i più veloci raggiungono la struttura che esige uno sforzo finale in quanto occorre arrampicarsi su per due ripidissime scalinate in metallo prima di giungere sulla scaletta terminale; insomma arrivare alla Cabane de Bertol è già una esperienza a sé stante!!!
L’interno della struttura è moderno anche se gli spazi angusti e l’esigenza di “stipare” un elevato numero di persone fanno sì che lo spazio sia sfruttato ricorrendo ad ogni possibile artifizio architettonico: le ripidissime scale interne, le stanzette con i tavolati non lasciano molto posto al relax ma la luminosissima sala da pranzo con finestre a 270 gradi vale da sola il viaggio.
Peccato che l’unica terrazza a sud sia “privata” ed utilizzata dai gestori.
Avremmo potuto stenderci al sole ma il lato nord, dove corre il balconcino che adduce alle toilette (ovviamente a perdere sul ghiacciaio) è freddissimo e passiamo il pomeriggio o ciò che ne rimane a letto, o sfogliando due magnifiche riviste disponibili nella sala da pranzo: la prima relativa alla costruzione della struttura che ci ospita, la seconda una raccolta di esperienze di guide alpine, corredata di foto magnifiche, relative ad esperienze alpinistiche in ogni angolo del pianeta.
Tutto qui è elitrasportato ed anche l’approvigionamento dell’acqua (ancor più che alle Vignettes) ad uso cucina è un problema.
Di conseguenza i prezzi non sono proprio “bon-pat” e c’è qualche problema con la doppia valuta franchi-euro.
La famosa signora Isabelle si era un po’ irrigidita al nostro arrivo in cui le comunicavamo di essere in dodici al posto di sedici ma, con il tempo, si è poi addolcita e, quando le abbiamo pagato il dovuto con la doppia divisa, ci ha pure concesso un cambio equo, cosa su cui non facevo troppo affidamento!
Martedì 16 aprile
La colazione è tardissimo, ben alle sei (sob!) ma il martedì 16 vede il cielo plumbeo con rarissimi “buchi di blu” anche se le previsioni sono al bello.
Scendiamo con calma e concentrazione la lunga scalinata metallica assicurandoci come in una via ferrata.
Scesi poi al col de Bertol, pochi metri distanti, ripelliamo (chi è sceso senza pelli) e ci spostiamo lungo il Glacier de Mont Minè dirigendoci verso la Tete Blanche che raggiungiamo mentre il cielo ci premia pulendosi e tingendosi ancora una volta di azzurro e regalandoci ancora un panorama mozzafiato: possiamo praticamente abbracciare tutto il percorso fatto finora dalla valpelline fino a Zermatt dove stiamo dirigendoci.
Vediamo inoltre gli impianti di risalita che si perdono dietro all’immenso Cervino, spettacolare ed unico nella sua enormità. La Dent d’Herens e la Tete de Valpelline sono lì a due passi da noi.
Giochi di annuvolamenti residui rendono ancora più interessante scattare fotografie e ci attardiamo non poco prima di iniziare la discesa di oltre un dozzina di km!
La discesa in sci è, a detta di molti, una delle più belle dell’intero arco alpino.
Personalmente ho trovato più emozionante quella dal Colle del Lys alla Monterosa hutte compiuta qualche anno fa, ma non c’è dubbio che è una difficile scelta!!!
La visione sulla terribile parete nord della Dent d’Hérens è impressionante.
Quando non ci si sofferma sugli enormi seracchi in bilico ci si sofferma sull’enorme Cervino, magari facendo attenzione a non infilarsi in qualche crepaccio, operazione peraltro neppure facile in quanto ottimamente coperti e con ampi spazi sciabili.
Purtroppo a mano a mano che scendiamo la qualità della neve deteriora ed in qualche occasione più di uno di noi si inabissa in qualche cedimento: è sufficiente uscire dalla traccia di discesa di pochi centimetri per rischiare un immersione nella neve fradicia che impone quasi sempre sganciarsi gli sci e magari l’aiuto di un compagno per rimettersi in piedi!
Nella discesa abbiamo anche la possibilità di notare la Shoenbielhutte, un rifugio dalla dimensioni generose che si affaccia sulla sinistra orografica dello Stockjigletscher, sopra una curiosa morena in cui le colate di acqua hanno disegnato ordinati motivi geometrici.
Raggiunta Furi a 1864 metri, la località a monte di ZERMATT facciamo uso degli efficienti impianti elvetici di risalita e veniamo, con soli due imbarchi, riportati in alta quota, più precisamente ai 3800 metri del Klein Matterhorn, da noi più conosciuto come Piccolo Cervino.
Il degno finale di questo incredibile, faticoso ed epico raid non poteva non suggellarsi con una salita ad un quattromila e così, in quattro e quattro otto, decidiamo di compiere un ultimo sforzo e dopo un’ora abbondante siamo ai 4165 metri del Breithorn occidentale, ancora una volta con tempo e neve eccezionali.
Ci attendono ormai solo più altri duemila metri di discesa fino a Cervinia che sommati ai duemila di questa mattina fatti dalla Tete Blanche a Furi portano il totale di discesa a quasi quattromila metri.
Che fanno coppia con uno spostamento odierno di una quarantina di chilometri fatti sulle nostre gambe.
Nei giorni scorsi ci eravamo limitati ad una ventina al giorno e, gravati di zaini pesanti e percorsi in quota con dislivelli dai 1700 ai 2280 metri al giorno, rappresentavano già una bella performance atletica!!!
A Cervinia prendiamo il bus delle ore 17 che ci scarica al bivio per Torgnon.
Lì con una delle auto parcheggiate sabato risaliamo a recuperare le tre vetture lasciate a Chatelard per concludere poi in una locanda questo raid così classico, così cercato, così difficile.
Alle 21 tutti a casetta propria.
Considerazioni … ed altro
L’ingrediente base per organizzare una sgambata del genere è senza dubbio l’entusiasmo.
Alla cui base è scontato un profondo, radicato, inestirpabile amore sconfinato verso lo sci-alpinismo.
Egoistico perché non ho voluto mettere in piedi tutto questo ambaradan per il GSA, lo confesso, ma perché ci tenevo, personalmente, a percorrere le tratte che, ormai da quasi una trentina di anni, conosco solo “per sentito dire” provando un malcelato senso di invidia verso coloro che hanno avuto la fortuna di sciare in tale ambiente.
L’occasione del cinquantenario del GSA è stata, mi è sembrata, un’ottima occasione per proporre la traversata classica, non ricordo neppure se l’ho proposta io o l’ha proposta qualcun altro!
Comunque appena abbozzata l’ho fatta immediatamente mia e ho fatto di tutto per convogliare i miei interessi di natura assolutamente personale sul e per il GSA.
Insomma era come la classica ciliegina sulla torta.
Velleità ed ambizioni private che potevano sposarsi con l’attività del Gruppo.
Per quello, e devo chiedere scusa a tutti, sono stato pedante fino all’asfissia con numerosissime e-mail.
Anche se avrò sicuramente rischiato di essere taggato come spammer, posso assicurare di avere cercato sempre di limitarmi nelle mie esternazioni inviando SOLO alle persone interessate, per cui per una mail inviata ad uno, ne avevo magari spedite quattro ad altrettanti destinatari….
Responsabile di ciò è senz’altro il mio ascendente vergine che, come ho letto da qualche parte, nell’età adulta (ormai alle soglie di una “maturata” età adulta, non lontana dall’anzianità…) tende a prendere il sopravvento sul segno principale.
Prendetevela quindi con lui per eccessi di comunicazione.
Ho patito moltissimo il dovere rinviare la data di partenza ma volevo fare questo RAID esclusivamente con una meteo almeno decente per cui non dite, per favore, che “abbiamo avuto fortuna”…
Con altri monitoravamo il tempo più e più volte al giorno e solo l’instaurarsi di una area di alta pressione sufficientemente stabile, ha dato il via all’accensione delle polveri.
Se la situazione meteo di inizio aprile caratterizzata dall’alternarsi di flussi instabili fosse proseguita per tutto il mese di Aprile, il Raid NON si sarebbe fatto, come accaduto per il Raduno nel Tirolo austriaco.
Per cui siamo partiti con un buon margine di sicurezza relativo alla meteo, non è stato un caso!
Nell’ambiente GSA sapevo poi di trovare, al pari dell’interesse del miele per le api, persone che avevano in testa lo stesso progetto.
Sono mortificato che chi forse più di tutti ci teneva a partecipare non ha potuto farlo per esigenze professionali.
Dato il forte senso di gruppo so che comprenderà che comunque era indispensabile partire con condizioni favorevoli, quale che fosse la data.
La necessità di mediare con esigenze professionali (leggi: prendere ferie), di prenotare con discreto anticipo, di gestire una logistica non troppo complicata e, last but not least, la disponibilità di trovare posti disponibili presso i rifugi, hanno contribuito a “creare” questa specie di Chamonix-Zermatt che non è certo stata percorsa per intero e con la dovuta calma ma infarcita di peperoncino e dove nessuno si è tirato indietro, spero portandosi a casa dei ricordi piacevoli, anche se la fatica, lo ammetto, è stata tanta.
È necessaria, ma quella la si può sempre acquisire con l’allenamento e la tenacia, una discreta forma fisica, soprattutto se in loco della “tranquilla” Chamonix-Zermatt si cominciano ad inanellare salite quali la Pigna d’Arolla, la non certo banale Pointe de l’Eveque, la Tete Blanche, il Dome di Cian, il Breithorn, citati in modo disordinato.
E, va da sé, occorre essere autonomi nella gestione di sé sugli sci il che significa sapere quando mettere i rampant o i ramponi e/o anche sapere rinunciare se una meta appare troppo al di sopra della propria capacità.
Per me essere bravi non significa sapere fare tutto ma avere ben chiari i propri limiti senza scoraggiarsi di fronte alle difficoltà e, al contempo, senza sottovalutare pericoli e condizioni oggettive che non si è in grado di gestire.
Accadimenti decisamente infausti ed imprevedibili sono quelli capitati a Cecilia, Matteo e Franco, coinvolti i primi due in valanghe in luoghi reputati molto sicuri ed il terzo nella perdita di uno sci, fatto che rende impossibile proseguire nella grand course.
Un grazie a Ermes che si è spontaneamente offerto di accompagnare Franco nel lungo (periglioso e faticante!) viaggio di ritorno a piedi fino alla civiltà dalla Cabane des Vignettes, privandosi così della magnifica occasione di percorrere questo spettacolare viaggio.
Al Raid hanno partecipato, in rigoroso ordine alfabetico:
Claudio ACETO, Flavio ACTIS, Walter ACTIS, Franco BRUNO, Marco CENTIN, Daniel CLEMENT, Lino D’AMATO, Tommaso GAGLIA, Davide GHIGLIANO, Matteo GUADAGNINI, Enrico LEINARDI, Sergio MARCHIONI, Guido PETRINO, Mauro RAINERI, Ermes RIZZIOLI, Cecilia TORELLI.
A tutti il mio personale e più sentito ringraziamento per avermi concesso il privilegio di condividere alcune giornate che, ne sono certo, rimarranno indimenticabili nella memoria storica del GSA e che mi hanno consentito di tradurre in realtà un sogno che era nel cassetto dei “desiderata” da tantissimo tempo.
Complimenti a tutti per quanto abbiamo dimostrato che, ne sono certo e lo dico con orgoglio, non è appannaggio di tutti i gruppi di Sci Alpinismo operanti nell’ambito del CAI!!!
Ed ora non ci resta che pensare al RAID 2014 tentando magari di coprire il tratto da Chamonix alla cabane des Vignettes….
emmeci
Fotografie di Marco Centin e Walter Actis.