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Quando la Signora Sfortuna
viene invece superata

1° Settembre, le ferie sono finite.
Accendo il pc e mi collego al sito “Ultra Trail du Mont Blanc”.
Scorro la classifica:
1° : Xavier Thevenard con 20h, 31.
235°: Alberto Chiesa, CAI UGET, 33h,09,34 !!!!

Grande!

L’UGET ha sconfitto la SIGNORA SFORTUNA!!!


Drin….drin….: pronto Alberto?
Ciao sono Guido Mamini, ti disturbo?
No no, ciao come vanno le tue ultra?
Benino grazie, ma dimmi di te.
Ho letto dell’ UTMB sei arrivato 235°… sei un mito!
Complimenti!
Dai raccontami!


Ed ecco a lasciarci andare in un diluvio di parole, commenti, sensazioni, di sogni raggiunti e ancora da raggiungere e con la simpatica affermazione di Alberto:
” L’ Utmb la si fa solo una volta nella vita, troppo dura!”

E allora, cari soci GSA, sempre piu‘ si sta estendendo questa “malattia endemica” appartenente al ceppo “Montagna”: l’ultratrail!

Il nostro caro amico e sci-alpinista di rango, Alberto Chiesa, ha portato a termine un’impresa davvero di gran rispetto nel panorama delle UTRATRAIL.

Una gara di ben 168 km e 9600 mt di disl +, in poco piu di 33 ore (questo è l’UTMB) che vuol dire correre ad una media oraria di 5,09 km/h (compreso di dislivello), un valore che a stento il corridore della domenica riesce a tenere su 10-12 km al parco della Pellerina.

Tenete conto che gli iscritti erano oltre 2500 ma arrivati al fondo e quindi degni della parola finischer solo 1685!

In questa stagione oramai alla conclusione, Alberto ed Io abbiamo partecipato a quasi le stesse Ultra anche se io son il “tabascione” dei due e tra le tante, l’UTMB rimane per me il futuro sogno che per ora la SIGNORA SFORTUNA mi ha posticipato, ma speriamo…

La nostra telefonata continua a lungo in un susseguirsi di dati tecnici, commenti, tipo di scarpe usate sensazioni, fortune e sfortune e lo ringrazio per aver dato una bella stecca con la sua capacita’ alla SIGNORA SFORTUNA!


Ma parliamo di questa “malattia” del ceppo virale “ Montagna”, che sta contagiando il GSA.
Già da svariati anni alcuni di noi come ad esempio Orfeo, per le più corte ma piu alpine, Andrea, Tea, il sottoscritto siamo stati contagiati e la cura consiste in allenamenti lunghi, lunghissimi, ripetute in salita, sedute di stretching, alimentazione equilibrata con aumento di carboidrati e maltodestrine in previsione di gare molto lunghe ed impegnative.

Perché?

Cerco di dare la mia interpretazione: in fondo è sempre la montagna che ci chiama!
Lo scialpinismo ci ha fatto conoscere gli spazi ampi nella veste invernale.
Ci ha abituato a sentirci a nostro agio in mezzo ai monti su quote anche elevate.
Ci consente oggi di fare i runners in estate in un ambiente stra-conosciuto che sentiamo nostro senza timori anche quando la natura cambia.
E questo è un aspetto da non sottovalutare.

Più volte ho visto materiale inadeguato o timori da parte di chi, runner anche di livello ma proveniente dalla corsa su strada, si trova improvvisamente in condizioni di brutto tempo su sentieri di montagna durante il trail.

Perché partecipare ad un ULTRATRAIL?
Perchè correre in montagna?
Che senso ha?
Oguno di noi può dare la risposta che più sente propria.
Ognuno puo’ cercare le proprie motivazioni, le piu intime, quelle che si confessano solo a se stessi.

Un “grande” dell’ambiente, caposcuola della passata generazione di Ultratrailler, Marco Olmo, diceva di correre perché si sentiva un vinto nella vita e cercava un riscatto.
KILIAN Jorned Burgada, mito della new generation di traillers, dice chiaramente nel suo libro “Correre o Morire” che corre solo per vincere. Per la cronaca, il ragazzo poche settimane fa è salito e sceso di corsa dal Cervino in 2h 53 !
Dunque, chi più ne ha più ne metta!

Ma noi Ugettini da 4 o 5,06 km/h su e giu per le montagne, perche?
Dò la mia di risposta e poi ognuno puo’ aggiungere la propria.
Per le magiche e diverse sensazioni che riesci a vivere con questa disciplina sempre grazie alla MONTAGNA!
Queste sensazioni credo poterle identificare in due diversi livelli:

Il primo lo scopri in te stesso.
Arriva un giorno in cui capisci, allenandoti, nemmeno chissà quanto, che non è vero che dopo esser salito su la Dormillouse ti sei stancato e torni a casa contento.
Capita che qualcuno ti faccia provare e scopri che sei perfettamente in grado, dopo quella salita, di ripartire subito per un’altra vetta (ovvio in estate) e poi ancora…
Scopri improvvisamente che gli orizzonti sono infiniti o meglio sono finiti solo quando non ti segue più la testa, non il tuo fisico.

Scopri quella sconvolgente sensazione che è la “RESILIENZA” come spiega Trabucchi nei suoi testi.
In soldoni: per lunghissime distanze a piedi come il GRAN TRAIL VALDIGNE, la Cro MGNON, l’UTMB, tutte gare di 100 Km ed oltre su sentieri e con tempi massimi tra le 30 e le 40 ore, il 50% delle possibilità di concludere il percorso e’ dovuto all’allenamento, all’endurance (allenarsi a stare sulle gambe alla propria velocita’ per moltissime ore), il restante 50% è solo grazie alla “testa”, alla volontà.

Scopri che con l’innalzamento delle endorfine davvero galleggi in uno stato mentale di felicita’, di abbandono e non pensi più a nulla e cerchi solo di arrivare.
Chiedete ad un runner a cosa abbia pensato in 20 e piu’ ore di gara: poche, pochissime cose e tutte essenziali per poter arrivare.
Per il resto per molte ore la mente era libera, libera…
Chiedete a chiunque abbia concluso una 100 km in montagna che sensazioni ha provato alle tre di notte alla luce della frontale su quel sentiero ripido vedendo altri compagni di avventura laggiu davanti a lui e altri dietro?
Vi darà una risposta di positività non di sofferenza!
Ecco perché all’arrivo, tra il primo e l’ultimo concorrente di un trail, c’è la differenza tecnica e di capacita’ ma le sensazioni sono assolutamente le medesime.
E questo è davvero bello!!

Il secondo livello invece te lo offre la Montagna.
Ho avuto la fortuna di concludere ultra su asfalto (To-St Vincent, Passatore) ma è tutta un’altra cosa: è più corsa, sei sempre nel mondo, diciamo piu domestico.
E’ più competizione, conta di più il risultato.
Le ultra sui monti ti riportano alle tue montagne, ai tuoi odori e ai tuoi colori.
Puoi permetterti di percorrere un tracciato lunghissimo con punti di ristoro e assistenza se ed in quanto necessaria. Sentiero tracciato con balisage (paline con fettucce catarifrangenti ) generalmente ogni 100-200 metri di giorno e di notte.
E questo non è poco.
Certo devi avere un ritmo non escursionistico ma ce la si puo’ fare con l’allenamento.
Purtroppo oggi con il notevole incremento di iscritti a queste manifestazioni, le ultra impongono dei cancelletti orari e cioè si deve passare ad un certo k/metraggio entro una certa ora e sovente i tempi sono molto stretti quindi si necessita di velocità di crociera a volte alta.

Mentre stiamo leggendo queste righe è in pieno svolgimento il TOR DES GEANTS (vi partecipano Gianni Savoia e Francesco Zucconi – Cuore sportivo).
Ecco la sublimazione alla massima potenza di tutti e due i miei pensieri e ragioni del perchè correre in montagna e partecipare ad un trail.
Anzi forse il Tor D.G. è più ancora la vera sublimazione estiva della nostra formazione e provenienza quali membri del GSA (vedi RAID).

Forse, e dico forse perchè non vi ho mai partecipato, al Tor si può impostare il “viaggio” con se stessi intervenendo più che altro sul fattore sonno che sulla velocità e cancelletti.
All’UTMB come ad altre grandi corse ultra si deve per forza correre in moltissimi tratti pena l’esclusione dai cancelletti.
Forse al Tor si può gestire diversamente l’andatura, ma su questo argomento e altro ci informeranno i fortunati che lo concluderanno.

Nel lontano 2008 concludevo un articoletto sulla mia Cro Magnon, pubblicato allora sul cartaceo CAI UGET NOTIZIE, scrivendo che se qualcuno si sentiva contagiato dai miei racconti poteva contattarmi alla mia e-mail…
Ho notato con piacere che la contaminazione è avvenuta!!!!!!!!


Dunque un grande ” BRAVO’ ” alla francese per Alberto che ha saputo certamente coniugare esperienza, resilienza, fisicità e fortuna, una combinazione direi perfetta.

E … aspettando di dare una bella stecca alla SIGNORA SFORTUNA nel 2014, pensiamo alla neve!!!!!!!!!!!!!!

guido m.

Giovedì 15, Ferragosto.

Giovedì 15, Ferragosto.
Chi di noi era sintonizzato sul TG Regionale di metà giornata, alla lettura dei titoli si è sentito raggelare il sangue: “Due alpinisti piemontesi, Luca Savoja e Carlo Ravetti hanno perso la vita nel Gruppo del Monte Rosa”.
In questi casi è difficile trovare la forza di scrivere qualcosa.
Non molto tempo fa’, quando ci aveva lasciati Ugo, ci era riuscito Marco, oggi l’ha fatto Orfeo.


Luca ci ha lasciato con Carlo.

Ho avuto la Fortuna di conoscerlo parecchi anni fa’ tramite il suo inseparabile amico, di tante gite con gli sci e di arrampicate, Alberto Chiesa.
Ormai Alberto si è dato alle corse in montagna di lunga distanza e Luca così ha trovato in Carlo Ravetti il partner ideale per l’estate, un uomo di grandi capacità tecniche in alta montagna e facente parte del Club dei 4000.

Però d’inverno ci si ritrovava sempre e fino a tarda primavera.
La prima parte della stagione di meno, poi via via sempre di più quasi ogni fine settimana per fare gite con gli sci e a volte, quando si liberava dagli impegni dell’Università, anche infrasettimanali.

Sul ripido non aveva eguali, dove lui passava senza problemi tu dovevi pensarci due volte e tirare un bel sospiro.
Nei passaggi più esposti, se era lui davanti, non si tirava mai indietro, infondendoti fiducia, calma e serenità.

Era ed è stato il compagno ideale, assieme ad altri amici di pari livello, per la riuscita di gite complesse e a volte ostiche.
Quando si finivano entrambi si era sorridenti e soddisfatti, complici.
Io dicevo “Luca è sempre un piacere fare le gite con te” e lui mi rispondeva “Eh no, il piacere è tutto mio Orfi”.

Non era uno che se la tirava.
Si presentava sempre con quel suo orribile pile verde pistacchio, talmente scolorito dal sole di innumerevoli gite che per vedere il colore originale dovevi alzargli le braccia!
Alla mia offerta di fare una colletta tra di noi lui sdegnosamente diceva:”Orfi, grazie ma ci sono affezionato, a casa ne ho l’armadio pieno di nuovi e di marca, ma a me piace questo, come i vecchi amici”.

Quando abbiamo fatto la Nord della Ciamarella, arrivati alla meta vedendo che lui e Popi si preparano per la discesa e avendo visto la neve non proprio delle più semplici, dico loro:”Ma siete sicuri?”.
Popi determinato mi dice:”Se muoio dite che sono morto felice!!”.
Io e Robi siamo scesi per la normale e, fatto il giro sulla Piccola Ciamarella, ci siamo riuniti tutti e quattro felici in una magnifica giornata piena di emozioni e ci siamo abbracciati: era l’ultima volta.

Ecco, così ti ricorderò per sempre nel mio cuore.
Grande Luca.

Orfeo

Quando la sfortuna …
… è più veloce di te!

Un’altra puntata alla scoperta di come trascorrono le vacanze gli amici Sci Alpinisti del GSA.

Li immaginiamo in un tranquillo “letargo estivo” a riposare, sfogliare stancamente una rivista o al più impegnati in una tranquilla passeggiata ed invece …

Ma quando si riposano sti Sci Alpinisti?


E’ Dicembre fuori nevica, sono al pc … clic, clic … la domanda di iscrizione al The Nord Face Ultra Trail du Mont Blanc 2013 è inoltrata!
Ho i requisiti richiesti ottenuti partecipando e concludendo le gare qualificanti nel corso del 2012 di 60, 70 e 100 km … inizio di un sogno … !!

E’ Febbraio, fuori non nevica, apro il pc, vado sul sito dell’UTMB, “il mio spazio personale corridore”, leggo: “DESOLE’ … NON SIETE STATO SORTEGGIATO!”…fine di un sogno!

Ecco LA SIGNORA SFORTUNA è arrivata, prima Lei di me !!!

E si perché purtoppo in questa specialita’(come anche al Tour des Geants) causa la quantità di richieste di iscrizioni, oltre alla prima selezione con parametri giustamente di capacità e merito, si arriva al sorteggio (!) se le domande superano un numero prestabilito.
Tante le polemiche a proposito, ma tant’è, per adesso !!

Consolato (si fa per dire) unicamente dal fatto di aver incrementato, (come da regolamento), di 2 punti il mio coefficiente di possibilita’ di essere ammesso nel 2014, … chiudo per ora questo sogno.!

E’ Marzo, fuori non so che diavolo di tempo faccia ma sono al pc…
L’ iscrizione alla ULTRA TRAIL VERBIER SAINT-BERNARD è andata a buon fine!
Urrah !!!

Non parlerei di ripiego, trattandosi di gara certamente corposa per kilometraggio e metri di dislivello, me certo un piccolo malumorino rimane ed anche l’UTMB rimane nel cuore!
Dopo il mitico Passatore (stradale), il Gran Raid International du Cro Magnon, lo splendido Gran Trail Valdigne dell’anno scorso non potevo farmi mancare una 100 anche quest’anno!

Continuo con il mio fidato “socio” Salvatore ad allenarmi ed a partecipare a gare di preparazione quali l’ Ultratrail dell’ Isola d’Elba e il Trail del M. Soglio ed eccoci finalmente, all’alba del 6 luglio in piazza a Verbier!

La splendida cittadina della Svizzera, Cantone di Sion, a 1450m di quota, organizza da 5 anni questo mitico ultratrail di 113km e 7143m di dislivello.
L’ organizzazione è parente stretta di quella del UTMB, quindi sicura, essenziale, super tecnologica (cip inserito nel pettorale che consente in tempo reale di seguire comodamente da casa su pc la posizione, i passaggi e le previsioni di arrivo di ognuno di noi!), costosa.

Circa 400 iscritti al via ma, boia faus, di italiani pochissimi, solo una trentina!

Cinque, quattro, tre, due, uno … VIA !!!!!

Con le note de ” L’ultimo dei Mohicani” sparate a palla dagli altoparlanti, iniziamo nel buio delle 5 del mattino, con qualche frontale accesa, a corricchiare commossi sotto un cielo stellato che cede lentamente il passo all’ alba.

“Attention …” gridano “… les batons”
Les batons!!
Si, si, è un parapiglia di bastoncini che ticchettano su quei pochi centinaia di metri di asfalto che ci portano fuori dal centro abitato per iniziare subito in salita la prima botta di 1000m di dislivello che ci fa salire alla prima cresta e al primo punto di controllo.
Arrivo su di una cresta erbosa e lì il primo sole subito forte mi acceca e, improvvisamente, è giorno!

Laggiù il Bianco, il Gran Combin, a sinistra la zona del Gran San Bernardo.
Posso solo ammirare di sfuggita, devo corricchiare, devo tenere il ritmo!

Cavolo ‘sti’ svizzeri: il primo cancelletto è stretto come tempi!!
Non sono nemmeno le 7 e son gia’ alla Croix de Coeur a 2172m.
Sto spingendo troppo, cavolo!
Il mio Garmin mi dice che vado quasi ai 5,30km/h su sentiero ripido.
E’ tutto sbagliato!!
Cosi facendo consumo troppo, concentrati, rifletti!
Ricorda come ti sei preparato, che cosa ti sei impresso nella mente!!

Ok, riprendo il controllo di me stesso, me ne frego di come cavolo corrono svizzeri, tedeschi, olandesi e anche giapponesi.
Io devo fare la mia corsa, e solo quello, fare quello per cui mi son preparato in base alle mie possibilita.

Si, questi sono pensieri molto comuni nei trails a lunga percorrenza; questi e molti altri unicamente orientati a gestire, centellinare le forze, a … durare.
Chiunque vada in montagna sa che 6 o 7000m di dislivello deve affrontarli conoscendo troppo bene se stesso, e dosarsi molto bene, tanto più se deve anche corricchiare per oltre 100km ed entro il tempo max di 31 ore.

La mente mi propone d’improvviso un flash e rivedo l’arrivo della Valdigne dell’anno scorso: dopo 23 ore e pussa, finiva tutto, ero tanto felice e … anche oggi sarà cosi.
Dai !! Dai!!

Orbene si continua in un alternarsi di panorami mozzafiato sul Vallese.
Si scende a bassa quota, a Sembracher a 720m.
Controllo orario ok: son nel cancelletto con piu’ di mezza ora di anticipo.

E si risale.

Tutto sembra procedere bene.
Ho usato solo un gel integratore per ora, sto bene.
Ho un buon ritmo.
Ho passato decorosamente il primo cancello orario, ho una buona media di oltre 5km/h dopo circa 30km e 1260m di dislivello.
Tutto ok…

… eh no!!!!
Cavolo, tutto ok un paio di ciuffoli!!
Sta arrivando piu veloce di me LA SIGNORA SFORTUNA!!
Quella che gia’ a Febbraio era comparsa sul pc per l’UTMB !!!
Non la sento ancora ma lei, subdola, nascosta, mi sta aspettando!!!

Sono in un tratto di bella discesa, una di quelle veloci che devi sfruttare per aumentare la media.
Sto letteralmente volando ai 14Km/h.
Il sentiero è largo con buon fondo, vedo il balisasce laggiù.
Ok, gli passo accanto, devo girare a destra e attraversare una stradina …
Pianto i bastoncini per equilibrarmi come ho fatto settemilioni di volte.
Diavolo, quello di sinistra si incastra tra le pietre, mi blocca la mano.
Strattone!
Il piede destro si blocca di colpo …
Hai !!
Storta terribile !!
Un tuffo al cuore.
Sento un dolore forte alla caviglia, gonfia tutto, la cuffia dei legamenti …
Il resto è solo … rimpianto … sfiga …

È solo la SIGNORA SFORTUNA.!!!!!!!!!!!

Non mi do pace, provo a riprendere.
Insisto ancora, gli cammino su e corricchio penosamente, ancora per circa 10km di salita, una infinità.

Il ritmo è oramai calato ad una soglia improponibile, cammino …
Devo decidere: mi ritiro al primo punto di controllo.

Ciò avviene: vengo accolto ed assistito dalla organizzazione, “svizzera”!
Finisce così l’avventura dopo “solo” 40km e 2200m di dislivello …
Peccato sara’ per un’altra volta.
LA SIGNORA SFORTUNA ha corso piu forte di me!

Il resto(!!) del percorso (strastudiato a memoria e compiuto dal mio socio che porterà a termine la gara) è un alternarsi di sentieri in mezzacosta, mulattiere ripidissime, salite su nevai quest’anno abbondantissimi, come quello al Col de Fenetre a 2698m di quota, guadi al polpaccio come presso il Col des Chevaux causa scioglimento neve.
Poi la splendida, serena e fredda notte stellata che dalla Cabane de Mille ha accompagnato i concorrenti a Lourtier e poi infine a Verbier.

E’ ANDATA COSI’, grazie alla SIGNORA SFORTUNA !.


Il grande Marco Olmo nel suo libro “Il Corridore”, riassume le sensazioni che si provano con queste belle e oneste parole:

Il ritiro è la peggiore delle sconfitte.
Certo, se ci si mette di mezzo il corpo per lo meno hai una scusa.
Puoi dirti “non potevo” anzichè “non volevo”.
Ma trovare una giustificazione non significa cancellare con un colpo di spugna l’umiliazione di non aver portato a termine qualcosa che si è deciso di iniziare
”.

E forse anche nella vita e’ cosi !
Ecco quello che mi piace: la corsa….. come la vita !.

guido mamini

Quatti, quatti …

“Vivere senza tentare significa
rimanere nel dubbio che ce l’avresti fatta”.


La stagione delle gite sociali è terminata ma, grazie alle condizioni di innevamento che quest’anno sono veramente eccezionali, sta proseguendo senza sosta l’attività “privata” di molti.

In queste ultime settimane insieme alle classiche di fine stagione Giro del Pic d’Asti, Carro e Roncia che hanno avuto una presenza semi-sociale, i più bravi di noi hanno percorso alcuni itinerari veramente di gran classe.

Nord della Ciamarella, Rocciamelone e una insolita Est del Gran Paradiso …
Almeno quest’ultima siamo riusciti a farcela raccontare!


Giovedì 6 giugno ore 17,30 ritrovo ad un’ora un po’ inconsueta al solito parcheggio dietro il Mac Donald’s di corso Giulio.
Destinazione: Rifugio Vittorio Emanuele, a quota 2735m in Valsavarenche.

Arriviamo nel piazzale dopo neanche due ore di viaggio e messi gli sci in spalla ci incamminiamo per salire gli 800 metri di dislivello, speranzosi di potere mettere presto gli sci ai piedi.

Nella strada incontriamo tre tipi, austriaci, li rivedremo domani all’uscita dalla nord del Granpa mentre noi abbiamo in mente di salire per la normale, scendere la est in sci e risalirla per tornare poi giù dalla normale.

Arriviamo così intorno alle 21,15 al rifugio: purtroppo soltanto gli ultimi duecento metri sci ai piedi, il resto tutto a spalla, ma è stata una piacevole sgambata.

Il gestore era informato e ci viene subito servita la cena a base di minestrone con verdure, due pezzi di formaggio, pane ed anche il dolce.
E poi subito a nanna, stanza n°14 con bagno a due passi, i letti sono sei, un po’ allo stretto ma in tre ci si sta comodi. E c’è pure la luce in stanza.

La colazione delle quattro interrompe il sonno ristoratore: il gestore ha detto che regoleremo i conti al ritorno: sembra che quest’anno ancora nessuno sia sceso dalla est.
Ci dobbiamo preoccupare?

Siamo partiti per primi e, con il passare del tempo, sembra che allunghiamo le distanze dai ns inseguitori, pur non correndo.
Renato, scatenatissimo, di tanto in tanto si ferma ad aspettarci, non abbiamo l’andatura da Mezzalama e, onestamente, non mi interessa sprecare energie per corrergli dietro…

Al primo sole siamo ormai in vista della punta del Granpa e siamo a quota 3850m.
Ci fermiamo un attimo a vestirci: c’è un venticello, niente di che, ma a quella quota è sufficiente stare 30 secondi senza guanti perché Roby ed il sottoscritto ci si congeli una mano.

Ripartiamo e, a poco a poco, riprendiamo la circolazione normale.

Arrivati dove tutti lasciano gli sci, ci togliamo le pelli al sole, il vento è del tutto cessato ed anche una preoccupante nuvoletta che nascondeva di tanto in tanto la Madonnina sulla punta, si è magicamente dissolta.

Calziamo i ramponi, prendiamo una picca e via sulla bellissima traccia che “snobba” la salita classica alla Madonnina che viene lasciata sulla destra.

Ci si porta così alla base nord-ovest del torrione su cui è stata eretta la Madonnina che viene erroneamente considerata la punta e ci si trova davanti un altro torrione che, con facile ma espostissima e breve arrampicata viene superata. Insisto perché si metta una corda (del resto ce l’abbiamo!) e così Renato fa da primo e assicurato perché “non-si-sa-mai” va sù e ci assicura.

Giunto sulla piatta sommità proseguo sulla relativamente facile ma aerea e spettacolare cornice che in una ottantina di metri scende di qualche metro per allargarsi.

E’ fatta, siamo qua.
Adesso o torniamo indietro o andiamo giù.
Più in alto non si sale.

Non possiamo neppure ritirarci perché non ci sono le condizioni: tutto sembra perfetto; l’unica cosa che manca è la decisione….(forse il coraggio).
Qualcuno dice: “proviamo a fare due curve….”

“Già!” penso io, “proviamo due curve e se non ci dovessero piacere cosa facciamo? Ci togliamo gli sci su una parete a 45-50 gradi e ci mettiamo i ramponi? ….. uh! mumble, mumble…. assai improbabile…. cambiare assetto in un posto del genere…”

Il tragico poi è che lì, sulla cengia si stava comodi: larga, spaziosa, quasi pianeggiante…. e con un panorama mozzafiato!
Insomma buttarsi giù per la parete da lì… uno proprio doveva imporselo!!!

Del resto ero arrivato per primo (Renato assicurava Roberto mentre io ero già “partito” dalla sommità del Granpa) per cui ero “avanti” con i lavori ed aspettare che qualcuno partisse mi sembrava scorretto.

Per cui messi gli sci e controllata l’attrezzatura non una ma due volte (chiusi bene gli attacchi, scarponi serrati, lacciuoli dei bastoncini giusti, zaino ben aderente….) ho provato un po’ di dérapage… la neve era bella, davvero, mollata il giusto dal sole.
Del resto la parete è in pieno est e prende sole fin dall’alba… insomma, era solo una questione di coraggio…

La prima curva, per chi ci è passato, è sempre la più brutta….

Fatta una le altre mi sono venute spontanee: l’unica preoccupazione era non sbagliare.
Essere sicuri di non sbagliare; e del resto, perché mai dover sbagliare?
Non c’era nessun imprevisto, tutto era sotto controllo… ho persino pensato che la cosa peggiore che poteva capitarmi era che qualcuno dei miei compagni potesse scivolare e travolgermi, quello era, oggettivamente, il rischio maggiore ma se non “partivo” io non sarebbero partiti neppure loro, e poi la neve era bella!

Cercavo, magari anche con lunghi diagonali, la pendenza minore ma ho lasciato perdere ad un certo punto perché tanto in centro aumentava, di poco ma un pochetto aumentava per cui mi sono detto che non aveva senso non saltare qui per tribolare poi da un’altra parte, tanto valeva “prendere ciò che il convento passava” per cui curva dopo curva, su una neve che mi dava comunque sempre una discreta sicurezza, sono arrivato in vista della crepaccia terminale.

L’itinerario, se mai ha senso parlarne, era piuttosto ampio: solo in basso mi sono trovato un po’ obbligato a stare dentro pochi metri: a sinistra la parete era rigata dalle numerose “palle” di neve che scendevano, mentre a destra c’erano delle rocce.

Lo spazio “liscio” dove scendere era comunque di 5-10 metri ovvero un canale ampio, che consentiva di prendersi tutti gli spazi ed i tempi necessari per saltare meglio.
Non ho mai guardato l’orologio e non riesco a valutare quanto tempo sia passato, credo tra i cinque e i dieci minuti per tutta la parete.

Avrei potuto scendere ancora, la crepaccia era pochi metri sotto di me ma mi sono fermato perché, ho pensato, risalirla non sarebbe stato facile.

Dopo un po’ ho visto Roberto, qualche metro sopra di me, si è fermato in piena parete e poi è arrivato René, che però non era visibile dalla mia posizione.

Rimessi, con la massima calma i ramponi, siamo risaliti per la massima verticale e la salita è stata eterna; si trattava di battere in una neve che spesso sfondava per cui la progressione era davvero estenuante.

Avevo due picche e persino la “spinning-leash” alias quella specie di cordino con cui sono fissate le due becche all’imbrago ma una picca sarebbe stata ampiamente sufficiente.

Spesso la neve faceva zoccolo e questo rendeva ulteriormente più faticolo il salire.

Dall’alto saltuariamente provenivano schegge di neve che all’inizio mi preoccupavano ma poi era solo “polvere di neve” probabilmente mossa da qualche pezzo di cornice che in alto si staccava e smuoveva la neve sulla superficie con cui veniva in contatto.

Giunti, dopo un’ora e mezza alla cresta avevamo capito che era quasi finita!!!

Restava il passaggino della torre e la cresta, un minimo di attenzione ed avremmo raggiunto il colletto dove avremmo messo gli sci e ci saremmo concessi una barretta ed il bere.

I tre austriaci del giorno prima sono comparsi (provenienti dalla nord) anche loro sulla cresta e sono andati anche sulla punta della Madonnina, mentre noi puntavamo diretti al colletto, zona-relax.

Infatti in pochissimo tempo ci siamo arrivati ed abbracciati e commossi ci siamo preparati per la discesa, ormai divenuta un tranquillo e rilassante rientro alla base.

La neve in alto non era bella, migliore dai 3200 metri fino al rifugio.

Al Vittorio ci siamo ancora concessi una bella pasta ed un’altra birra e, pagati i conti, giù per l’ultima sciata, peraltro corta per poi rimettersi ancora una volta, gli sci in spalla e giungere all’auto nell’assolato pomeriggio.

In venti ore totali ci siamo tolti questo sassolino….. Dislivello: dai 1950 metri del piazzale ai 2735 del Vittorio fanno… boh, fatevi voi i conti.

Dal rifugio ai 4060 della punta sono più o meno 1300 a cui va aggiunta la risalita della parete che è circa trecento metri.

Alla fine di venerdì il SUUNTO segnava 1730, tutto incluso.

Tempo sempre bello, freddo il giusto, direi.

L’idea originaria di questa pazzia è di Roberto mentre Renato corre troppo sugli sci, bisogna mettergli qualche pietrone di nascosto nello zaino se uno vuole provare a stargli dietro…. io mi sono accodato.

marco